Articolo del Corriere Innovazione del 26 gennaio 2015
IL DIBATTITO
L'Università italiana come le «fanciulle piangenti» di San Francisco
Come le weeping maidens, l'Università italiana pare aver voltato le spalle al mondo. Eppure basterebbe voltarsi per scoprire opportunità da ogni lato
di Ruggero Frezza*
Notai le «fanciulle piangenti» quasi subito. Quando per il dottorato vivevo a San Francisco, mi capitava spesso di passeggiare dalle parti del Presidio, un angolo verde che fu un tempo un forte novospagnolo, poi una base dell’esercito, poi ancora sede dell’Expo 1915, antenata di quella di Milano di 100 anni tondi. Una delle poche strutture superstiti di quel’Esposizione è il Palace of Fine Arts, dove si ospitavano quadri e sculture. È una sorta di tempio greco-romano posato su uno specchio d’acqua immobile; l’architetto Bernard Maybeck - esponente dell’Arts and Craft che ha innervato della sua classicità tanti spazi della Bay Area - già lo concepiva come una sorta di rovina destinata a durare oltre il tempo ed i terremoti californiani. Ebbene, questo edificio presenta un particolare davvero unico: in cima, sono poste delle strane cariatidi, che credo non compaiano in nessun altro posto della terra. Sopra il colonnato, ecco queste numerose figure femminili, tutte appoggiate ad un cubo, la testa inclinata verso il suo interno. Per incredibile che sia, tutte danno le spalle allo spettatore, alla Baia, alla città, al mondo intero.
The weeping maidens (Foto di FineArtAmerica.com)
Sono le weeping maidens, le «fanciulle piangenti». Mi sono interrogato a lungo su queste figure: perché piangono? Perché guardano dentro a quei cubi e mai fuori? In realtà, ora sto pensando alle weeping maidens per un altro motivo. Perché le sento come una metafora dell’università italiana, e dell’annessa dispersione di capitale umano legata alle barriere tra il mondo della ricerca e quello dell'impresa. Come le weeping maidens, l'università italiana pare aver voltato le spalle al mondo. Come le maidens è demoralizzata, appoggiata stanca e dolorante alla sua struttura, quasi rassegnata. Eppure, basterebbe che si voltasse perché il mondo si accorgesse della sua bellezza. L'avvenenza dell'università italiana l'abbiamo vista tutti quest'anno grazie alla missione della sonda spaziale Rosetta. Eppure, basterebbe che si voltasse per cogliere le bellezze del mondo che la circonda, opportunità di trasformare ricerca in progresso. Se le maidens del Presidio si voltassero e guardassero a Nord, vedrebbero il Golden Gate, esempio monumentale di civiltà delle grandi opere. Similmente, l’università italiana dovrebbe guardare al bisogno di sviluppo e di cultura del progresso che ha il nostro Paese. Se le maidens guardassero poco più a Ovest, vedrebbero la «piazzetta Yoda», la piazzetta (con tanto di statua e fontana dedicata al verde maestro Jedi) davanti agli stabilimenti della Industrial Light&Magic, braccio operativo della Lucasfilm di George Lucas: il luogo dove vengono ipertecnologicamente create le visioni dei più grandi kolossal mondiali dagli Star Wars in giù.
La fontana di Yoda (Credit: James Jeffrey, www.flickr.com/photos/jjeffrey)
Similmente, l’università italiana dovrebbe offrire la sua conoscenza alla vivacità di quelle imprese che, come Lucas, vogliono costruire sogni globali. Se le maidens si voltassero e guardassero più a Sud, scorgerebbero la pianura della Silicon Valley, dove il Venture Capital l’anno passato ha finanziato aziende per 30 o forse 40 miliardi di dollari, in pratica una sorta di inarrivabile Mecca tecnologico-finanziaria, la capitale di futuro dove la scienza si traduce in business. Similmente, l’università italiana dovrebbe voltarsi e vedere nel capitale di rischio l'alleato necessario a concretizzare progetti umani grandiosi e a rendere l’accademia prospera e vincente come nel Medioevo, quando Padova poteva permettersi di attrarre studenti e ricercatori da tutto il continente come Galileo e Copernico, le superstar della scienza di quegli anni. Infine, se le maidens si voltassero e guardassero qualche metro più in là, vedrebbero l’incantevole specchio d’acqua su cui si erge il loro palazzo, un’oasi naturale dove vivono tartarughe e orsetti lavatori, dove si posano stormi interi di oche e cigni. Similmente, l’università italiana dovrebbe guardarsi intorno e riconoscere la bellezza assoluta che la circonda, gli edifici millenari, la tradizione infinita, l’armonia sociale di questa terra che qualche volta, se non si fa vincere dal rumore di fondo, è ancora pienamente percepibile. Viviamo e lavoriamo in un ambiente magnifico, scenograficamente antidepressivo come pochi altri territori nel mondo. Documentandomi un pochino, ho infine scoperto perché queste statue piangono: le guide dicono che lo fanno perché l’arte se ne andrà con la fine dell’Esposizione 1915… Il loro artefice, lo scultore Ulrich Ellerhusen, ha voluto mettere la loro testa dentro quegli scatoloni cubici perché vi versassero delle lacrime, essendo in principio quegli scatoloni dei grandi vasi che il pianto delle cariatidi dovevano simbolicamente annaffiare. Dalle lacrime accademiche non può nascere nulla. Non più weeping maidens, ma laughing maidens, fanciulle che ridono, com’è costante nella nostra storia dell’arte. Dalla Primavera di Botticelli alla Gioconda di Leonardo.
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